Malattie autoimmuni e deficit renali

I pazienti affetti da artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico non di rado soffrono di una progressiva perdita di funzionalità dei reni. Si iniziano a capire i rapporti fra le due patologie.

I pazienti che sono affetti da malattie autoimmuni sistemiche – come l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso sistemico – non di rado soffrono di una progressiva perdita di funzionalità renale. Ben poco si sa dei meccanismi che collegano le due patologie.

Un gruppo di ricercatori giapponesi ha iniziato gettare luce sul problema pubblicando un articolo sulle ricerche in proposito sull’ultimo numero della rivista Arthritis & Rheumatism.
In base ai loro studi risulta che un ruolo critico nello sviluppo della glomerulonefrite autoimmune lo hanno le piastrine.

Studiando un ceppo di topi mutanti, che tendono a sviluppare patologie autoimmuni, hanno infatti isolato un sottotipo di essi che soffriva in modo limitato della glomerulonefrite conseguente alle altre malattie autoimmmuni: da un attento esame è risultato che mentre nel ceppo mutante più comune si accumulava un elevato numero di piastrine nei glomeruli, ciò non avveniva nel sottotipo in esame, che – pur avendo una maggior propensione a sanguinamenti – sopravviveva un tempo doppio rispetto ai primi.

Ulteriori studi hanno rivelato in particolare il coinvolgimento della proteina Cno, che appartiene alla famiglia del complesso 1 per la biogenesi degli organelli correlati ai lisosomi (BLOC-1) La scoperta suggerisce un legame fra la mutazione – la perdita dell’espressione della proteina Cno – i difetti nella funzionalità piastrinica e la regressione delle formazioni nei glomeruli renali.

Questa scoperta suggerisce l’esistenza di un legame fra la perdita dell’espressione della proteina Cno, difetti nella funzionalità delle piastrine e regressione della crescita di formazioni piastriniche nei glomruli renali. Inoltre, collega questi rapporti al BLOC-1, che controlla i lisosomi.

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fonte: http://www.lescienze.it/index.php3?id=12546

Una risonanza magnetica contro il lupus
La sperimentazione sui topi potrebbe aprire la strada a utili applicazioni sull’essere umano

La spettroscopia a risonanza magnetica (MRS) potrebbe costituire un metodo non invasivo per monitorare i sintomi neuropsichiatrici in pazienti affetti da lupus. è questa la conclusione di uno studio effettuato su topi di laboratorio da un gruppo di ricercatori della Wake Forest University School of Medicine e presentato all’annuale convegno dell’American College of Rheumatology tenutosi a Washington.

La MRS è strettamente imparentata con la risonanza magnetica (MRI) usata nelle tecniche di imaging e utilizza intensi campi magnetici e radioonde a bassa energia per ottenere informazioni biochimiche sul corpo.

Il test viene fatto in una macchina a MRI a cui viene collegato lo spettrometro per misurare le variazioni nei livelli di metaboliti come il glutammato e la glutammina.

“A causa della sua non-invasività e ripetibilità, la MRS potrebbe essere utile in un programma di studio volto a scoprire farmaci utili contro il lupus neuropsichiatrico”, ha spiegato Nilamadhab Mishra docente di reumatologia della Wake Forest University e coordinatore della ricerca.

“Non esistono attualmente biomarcatori per il lupus neuropsichiatrico e ciò impedisce sia la diagnosi clinica sia la scoperta di nuovi farmaci per il trattamento di questa patologia.”

fonte: http://www.lescienze.it/index.php3?id=12851

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