La fusione a freddo “non s’ha da fare”

Se qualcuno si ricorda, di Giuliano Preparata e la fusione a freddo avevo già scritto qualche anno fa, riprendendo un’inchiesta fatta da Report, il magnifico programma di inchiesta giornalistica di Rai3.

Ora riprendo pari-pari un’altra ‘vecchia’ inchiesta svolta da Rainews24 – “Il Rapporto quarantuno, Fisica e metafisica di una rivoluzione scientifica scomparsa – di Angelo Saso” – che mostra come la tecnologia ci sia, ma come non ci sia la voglia politica di far trapelare certe informazioni.

E’ il dieci aprile del 2002. Il famoso elettrochimico britannico Martin Fleischmann ha appena visitato i laboratori di fisica nucleare dell’ENEA di Frascati. Lo scienziato che nel 1989 era stato emarginato dalla comunità scientifica per aver annunciato la possibilità che alcuni atomi possano fondersi a temperatura ambiente – la famosa “fusione fredda” – è un uomo compassato ma non riesce a trattenere l’entusiasmo. Decide di scrivere al premio nobel Carlo Rubbia, all’epoca presidente dell’agenzia italiana per l’energia, l’ENEA.

“Caro professor Rubbia,
sono molto lieto che il programma di ricerca intrapreso da Giuliano Preparata abbia conseguito il suo scopo.
I risultati ottenuti dai ricercatori italiani sono veramente impressionanti, e non esagero”.

Chi sta lavorando sulla fusione fredda?

Abbiamo potuto verificare che molte società – anche dai nomi importanti – hanno investito e stanno investendo sullo studio della cosiddette reazioni nucleari a temperatura ambiente.

La cosa interessante è che nessuna di queste compagnie ama essere associata alla “famigerata” fusione fredda: lo fanno ma – quasi sempre – non lo dicono.

La prima è stata la Toyota. Gia’ all’inizio degli anni ’90 creo’ un laboratorio nel Sud della Francia, dove chiamo’ a lavorare anche gli stessi padri della fusione fredda, Fleischmann e Pons.

Un’altra giapponese, la Mitsubishi Heavy Industries, ha scelto un’altra strada, quella delle trasmutazioni nucleari.

I tecnici Mitsubishi sono riusciti a trasformare elementi radioattivi in altri elementi, questa volta inerti: seguendo questa strada si potrebbe pensare a un sistema per la definitiva messa in sicurezza delle scorie delle centrali nucleari.

Esiste un progetto per applicare il sistema Mitsubishi in Italia. La sperimentazione – coordinata dal fisico del Laboratorio Nazionale di Frascati Francesco Celani – verrebbe fatta nel Centro Sviluppo Materiali (CSM) di Castel Romano, alle porte di Roma, mentre per l’impianto industriale si pensa a un sito in Umbria.

St Microelectronics e Pirelli hanno manifestato disponibilità a partecipare al progetto italo-giapponese ma per ragioni economiche e politiche per ora è tutto fermo.

Nei Laboratori Pirelli della Bicocca – a Milano – dieci ricercatori lavorano sulla fusione fredda. Pirelli – insieme al gruppo Moratti – e’ stata una delle prime compagnie in Italia a investire sulla ricerca, gia’ negli anni ’90. Come d’altra parte ha fatto FIAT, sia pure con discrezione.

Gli americani sono gli unici a sbilanciarsi su una data: “entro il 2007 presenteremo alcuni prototipi piuttosto eccitanti”, annunciano i californiani di “D2FUSION“, una società quotata in borsa e legata ai più importanti centri di ricerca militari degli Stati Uniti.

Se dobbiamo credere alle promesse, dai laboratori della Silicon Valley usciranno presto piccoli moduli per il riscaldamento domestico, di potenza compresa tra uno e tre chilowatt. “Saranno molto ecologici e molto economici – dicono – visto che saranno alimentati ad acqua”

Entro pochi mesi si aspetta anche il rapporto dell’Agenzia statunitense per i progetti di ricerca avanzati in campo militare (DARPA, US Defense Advanced Projects Research Agency). I risultati sono ancora riservati ma – da quanto Rainews24 ha appreso – potrebbero segnare una forte accelerazione a favore degli studi sulla fusione fredda.

E poi c’e’ la Cina.
In Cina ci sono oltre 20 ricercatori al lavoro sulla fusione fredda, divisi in sei gruppi. Sei laboratori che competono tra loro per arrivare per primi al risultato finale, grazie anche al rapporto preferenziale che si e’ creato tra laboratori cinesi e centri di ricerca francesi. L’asse tra Pechino e Parigi si candida a sfidare anche in questo campo la supremazia tecnologica degli Stati Uniti.

“Visto, non si stampi” – Perché le riviste non hanno pubblicato il Rapporto 41

Nell’estate del 2002 il Rapporto 41 fu inviato a diverse riviste scientifiche. Le prime due furono le statunitensi Science e Nature, quelle che “hanno un impact factor più alto”, come si dice. Nel senso che una pubblicazione su queste riviste “vale” molto di più per la carriera scientifica di un ricercatore. “Nel giro di qualche giorno – ricorda Antonella De Ninno – a stretto giro di posta elettronica, Science ha risposto che non avevano spazio per pubblicare questo lavoro.

Non sono entrati nel merito, non ci hanno neanche consentito l’accesso al processo di review, che si usa di solito nel mondo scientifico, per cui un lavoro viene mandato ad altri colleghi che ne valutano l’attendibilità ed eventualmente chiedono chiarimenti. In questo caso siamo stati espulsi subito. Ci hanno detto che non c’era spazio, motivi editoriali”. “Questa fu la risposta di Science”, aggiunge Emilio Del Giudice. “Altri fecero delle osservazioni piuttosto peregrine. Per esempio uno dice: ‘Come è possibile raggiungere temperature così elevate sott’acqua, nell’acqua della cella elettrolitica?’ Evidentemente questo signore non sapeva che esistono i vulcani sottomarini, o che è possibile fare le saldature sott’acqua se c’è una sorgente di energia sufficiente…”

Antonella De Ninno: “Dopo Nature abbiamo provato con altre quattro riviste, però devo dire che non siamo riusciti ad avere un processo di revisione convenzionale, in particolare sulla misura dell’elio non abbiamo raccolto una sola obiezione in cinque riviste”.

Antonio Frattolillo: “L’obiettivo era quello di fare un esperimento che fosse talmente pulito, dal punto di vista della procedura sperimentale, da riuscire a bucare quel muro di diffidenza che la comunità scientifica ufficiale aveva verso tutto ciò che riguardava la fusione fredda. Alla fine però non ha bucato. Non siamo mai riusciti neanche a pubblicare il lavoro. Addirittura una delle riviste che abbiamo contattato ci ha risposto che dal momento che questo lavoro riguardava la fusione fredda – che era già stata dimostrata essere falsa – la pubblicazione non era possibile”.

Emilio Del Giudice: “Scherzosamente, quando era tra amici, Giuliano Preparata chiamava Nature ‘la Pravda’. E questo perché Nature si è assunta il compito di fornire non solo informazione scientifica ma anche ideologia scientifica. Loro dicono: ‘siccome il fenomeno non è possibile noi non pubblichiamo’. Non so se si tratti di un atteggiamento aristotelico. E’ un atteggiamento che contraddice con quanto Shakespeare fa dire a Polonio, quando dice ‘non devi essere ne’ un credente ne’ un miscredente’.
Uno scienziato non deve avere preconcetti. Ne’ positivi ne’ negativi”.

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