Archivi categoria: Scienze

Perché pensare logora

La concentrazione per lunghi periodi accumula sostanze chimiche che interrompono il funzionamento del cervello.

Una giornata lavorativa piena di una serie di compiti mentalmente impegnativi può farti sentire esausto. Dopo lunghe ore trascorse mentalmente a tenere traccia di un pensiero dopo l’altro, probabilmente è più probabile che tu scelga una serata rilassante di TV piuttosto che affrontare un compito difficile nella tua lista di cose da fare o dedicare tempo a un’attività creativa. Un nuovo studio fornisce una spiegazione biologica per questo fenomeno familiare: pensare intensamente porta a un accumulo di sostanze chimiche che possono interrompere il funzionamento del cervello.

Per qualche tempo, gli scienziati hanno lottato per trovare una spiegazione del motivo per cui le nostre risorse mentali si esauriscono. I ricercatori hanno ipotizzato che lunghi periodi di intenso sforzo mentale portino a un esaurimento del glucosio e di altre risorse chiave che riforniscono il cervello affamato di energia.

I primi esperimenti negli anni 2000 hanno supportato questa nozione, riportando che le persone hanno sperimentato una riduzione della glicemia dopo un compito cognitivamente impegnativo e che il consumo di una bevanda zuccherata potrebbe aumentare le prestazioni. Ma il lavoro successivo non è riuscito a riprodurre quei risultati. “Se guardi tutti gli studi insieme, non c’è stato, in media, alcun effetto”, afferma Antonius Wiehler , neuroscienziato cognitivo presso l’ospedale Pitie-Salpétrière in Francia.

In uno studio pubblicato nel 2016, Mathias Pessiglione e il suo team hanno dimostrato che lunghi periodi di compiti mentalmente impegnativi rendevano le persone più propensi a scegliere la gratificazione immediata piuttosto che aspettare una ricompensa maggiore più tardi. Questo cambiamento comportamentale è stato accompagnato da una diminuzione dell’attività cerebrale in un’area coinvolta nei processi cognitivi come il processo decisionale. Il risultato ha lasciato il team con la domanda su cosa stesse causando questo cambiamento nell’attività cerebrale.

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Cenere alla cenere, polvere alla plastica

Il bruco che digerisce e distrugge la plastica

(aggiornamento di agosto 2017)
La larva della farfalla Galleria mellonella, la comune camola del miele, è in grado di degradare il polietilene, il più diffuso tipo di plastica e anche uno dei più difficili da smaltire. Per digerire la cera d’api di cui si nutre normalmente, l’insetto ha infatti evoluto la capacità di rompere legami chimici simili a quelli presenti nel polietilene.

Un bruco piuttosto comune è in grado di biodegradare il polietilene, o PE, una delle plastiche più resistenti e più diffuse. La scoperta – che potrebbe contribuire significativamente a risolvere problema dello smaltimento della plastica – è di un gruppo di ricercatori dell’Università della Cantabria a Santander, in Spagna, e dell’Università di Cambridge, in Gran Bretagna, che firmano un articolo su “Current Biology”.

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Fatta la fusione a freddo

Per la prima volta in Italia, davanti ad esperti, è stato realizzato il processo utilizzando nichel ed idrogeno. E’ la strada per ottenere energia pulita. Andrea Rossi, ingegnere e Sergio Focardi, fisico, spiegano: “Dietro questo processo non c’è una base teorica, per quale motivo avvengono questi risultati lo abbiamo solo ipotizzato”

CI sono le guardie giurate a controllare l’accesso, devi firmare una dichiarazione in cui accetti i rischi nell’assistere all’esperimento che potrebbe rivoluzionare il settore della produzione di energia. Per la prima volta in Italia, davanti ad esperti, in un capannone avvolto dalla nebbia nella zona industriale di Bologna, è stato realizzato un processo di fusione nucleare fredda, utilizzando nichel ed idrogeno, capace di produrre una energia incredibilmente superiore a quella utilizzata per creare la reazione.

E’ la strada per ottenere energia pulita. “La novità assoluta sta nel fatto che tutto ciò viene prodotto da una macchina che funziona come una stufetta elettrica di casa”, spiega l’inventore, Andrea Rossi, ingegnere. Con lui Sergio Focardi, professore emerito dell’Alma Mater, fisico di calibro, in passato preside della facoltà di Scienze.

Di possibili fonti di energia con reazioni di fusione nucleare a bassa temperatura se ne parla da tempo nel mondo. L’annuncio nel 1989 degli scienziati Fleshmann e Pons suscitò speranze e illusioni. Focardi è stato pioniere in Italia di questo tipo di studi. Quello di ieri è stato il primo esperimento condotto a Bologna con osservatori esterni: giornalisti e fisici, in gran parte dell’Ateneo come Paolo Capiluppi, direttore del dipartimento di Fisica, Gianfranco Campari, Ennio Bonetti. L’esperimento, “industriale più che scientifico”, dicono i docenti universitari, è condotto in una stanzina di un capannone in via dell’Elettricista, dove è stato installato un catalizzatore di energia che occupa lo spazio di un tavolo. Dura alcune ore.

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Maddalena Pascucci.

L’etanolo nella motorizzazione non è la soluzione ambientale

Un gruppo di ricercatori della Thayer School of Engineering at Dartmouth e della società Mascoma Corporation di Lebanon, nel New Hampshire, ha scoperto un nuovo metodo che permette di produrre grandi quantità di etanolo cellulosico, uno dei maggiori candidati a costituire un’alternativa sicura e sostenibile ai combustibili derivati dal petrolio per il traffico veicolare.

Per la prima volta, il gruppo ha modificato con tecniche di ingegneria genetica un batterio termofilico – cioè in grado di crescere in condizioni di alta temperatura – in modo che tale organismo produca etanolo come unico prodotto di processi fermentativi.

“La nostra scoperta rappresenta una possibile strada per facilitare la conversione di biomasse cellulosiche inedibili, comprese quelle costituite da legno, erba e altri materiali di scarto, in etanolo”, ha spiegato Lee Lynd, docente di progettazione ambientale della Thayer School che ha sviluppato la metodica e ha firmato un articolo sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Science”.

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La fusione a freddo “non s’ha da fare”

Se qualcuno si ricorda, di Giuliano Preparata e la fusione a freddo avevo già scritto qualche anno fa, riprendendo un’inchiesta fatta da Report, il magnifico programma di inchiesta giornalistica di Rai3.

Ora riprendo pari-pari un’altra ‘vecchia’ inchiesta svolta da Rainews24 – “Il Rapporto quarantuno, Fisica e metafisica di una rivoluzione scientifica scomparsa – di Angelo Saso” – che mostra come la tecnologia ci sia, ma come non ci sia la voglia politica di far trapelare certe informazioni.

E’ il dieci aprile del 2002. Il famoso elettrochimico britannico Martin Fleischmann ha appena visitato i laboratori di fisica nucleare dell’ENEA di Frascati. Lo scienziato che nel 1989 era stato emarginato dalla comunità scientifica per aver annunciato la possibilità che alcuni atomi possano fondersi a temperatura ambiente – la famosa “fusione fredda” – è un uomo compassato ma non riesce a trattenere l’entusiasmo. Decide di scrivere al premio nobel Carlo Rubbia, all’epoca presidente dell’agenzia italiana per l’energia, l’ENEA.

“Caro professor Rubbia,
sono molto lieto che il programma di ricerca intrapreso da Giuliano Preparata abbia conseguito il suo scopo.
I risultati ottenuti dai ricercatori italiani sono veramente impressionanti, e non esagero”.

Chi sta lavorando sulla fusione fredda?

Abbiamo potuto verificare che molte società – anche dai nomi importanti – hanno investito e stanno investendo sullo studio della cosiddette reazioni nucleari a temperatura ambiente.

La cosa interessante è che nessuna di queste compagnie ama essere associata alla “famigerata” fusione fredda: lo fanno ma – quasi sempre – non lo dicono.

La prima è stata la Toyota. Gia’ all’inizio degli anni ’90 creo’ un laboratorio nel Sud della Francia, dove chiamo’ a lavorare anche gli stessi padri della fusione fredda, Fleischmann e Pons.

Un’altra giapponese, la Mitsubishi Heavy Industries, ha scelto un’altra strada, quella delle trasmutazioni nucleari.

I tecnici Mitsubishi sono riusciti a trasformare elementi radioattivi in altri elementi, questa volta inerti: seguendo questa strada si potrebbe pensare a un sistema per la definitiva messa in sicurezza delle scorie delle centrali nucleari.

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fusione a freddo.