Crisi? Creati un lavoro!

Copio-incollo un interessante articolo che ho trovato sulla rivista Fare Impresa di Giugno 2011…

Ragazzi, il lavoro potete e dovete anche inventarlo

…guardando quel che accade intorno a voi.

Saper guardare avanti, darsi un progetto, cogliere lo spirito del tempo e interpretarlo, sono requisiti che stanno alla base di ogni futuro, a cominciare da quello dei giovani in vista del loro ingresso nel mondo del lavoro.

E anche dopo, dato che “gli esami non finiscono mai”, sia che si svolga una occupazione come dipendenti e sia che ci si trovi a guidare un’azienda.

Basta considerare quanto è accaduto di recente, durante la crisi che ha colpito l’economia nel suo insieme: gli imprenditori che si sono “salvati”, sono stati quelli che hanno saputo guardare oltre il momento contingente, che hanno visto e colto la crisi anche come opportunità.

Si inseriscono in questo ambito le tante attività che Confartigianato Vicenza da anni svolge proprio per contribuire alla formazione e all’orientamento dei ragazzi perché le imprese, in prospettiva, possano contare sul positivo apporto delle nuove generazioni.

Direttore scientifico delle attività che vanno sotto il nome di Impresa Famiglia, basti pensare all’ormai celebre Scuola per Genitori, è lo psichiatra e sociologo Paolo Crepet, che sottolinea la necessità di iniziative come queste partendo un dato diffuso recentemente dall’lstat:

«Quando sento che il 20% dei ragazzi e delle ragazze non studia e non lavora, per me questa è una tragedia. Quindi dico agli adulti: facciamo di tutto per non arrivare a situazioni di questo genere».

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Come decidere di campbiare lavoro orientando la propria vita

Per affrontare il tema dell’orientamento scolastico e professionale, secondo Crepet vanno favorite alcune precondizioni indispensabili:

«Non mi stancherò mai di ripetere – spiega – che crescere dei giovani che siano autonomi, capaci di assumersi le proprie responsabilità e con una buona autostima, è fondamentale».

Quando si parla di orientamento è facile, secondo Crepet, che ci si soffermi sulle condizioni del mercato del lavoro del momento, ma è un errore:

«L’orientamento non è tanto andare a vedere “cosa c’è” ma cosa “ci potrebbe essere”, cosa serve di nuovo. Questo è il vero “orientarsi”. Faccio un esempio: asili nido e scuole materne sono in numero insufficiente rispetto alla domanda, e c’è carenza perché lo Stato e i Comuni hanno delle ristrettezze di bilancio. Ma rimane aperta un’opportunità di mercato, una possibilità di lavoro che quattro, cinque, dieci ragazzi magari potrebbero cogliere formando una cooperativa, una società, per sopperire alla mancanza di un tale servizio.

Per creare tutto ciò serve però della creatività, della fantasia, e non limitarsi a guardare all’oggi, all’immediato, ai settori tradizionali, per andare a mettere delle pezze a buchi che si manifestano ora, ma domani chissà. Ripeto, si deve osservare in prospettiva e non nel contingente. L’orientamento è riuscire a vedere quali sono le tendenze dei bisogni inevasi della popolazione, per esempio il suo progressivo invecchiamento, per favorire e creare servizio prodotti- e quindi lavori – nuovi.

Saranno queste, oltre alle competenze acquisite, le “antenne” che dovranno guidare i nostri ragazzi: la capacità di intuire dove va il mondo, saper guardare e osservare quanto accade attorno, una sana curiosità, la coscienza dei propri limiti e la voglia di superarli. Sono questi, oggi, elementi imprescindibili per affrontare il futuro lavorativo».

Inoltre, i giovani devono essere stimolati a capire che il mercato del lavoro oggi non ha confini, e che quindi una formazione che preveda anche esperienze all’estero va considerata e favorita:

«Penso – conclude Crepet – che una buona Università, e perciò una buona formazione universitaria, debba prevedere anche uno scambio con l’estero. Perciò, se l’Erasmus una volta era un optional, oggi è assolutamente indispensabile».

Le 100 Leggi Fondamentali del Successo nella Vita e nel Lavoro
Le regole indispensabili per sfondare nella vita e nel lavoro

Inoltre, il Wall Street Journal fa la lista de…

I 10 lavori più pagati e richiesti nel prossimo futuro

10. consulente finanziario personale
9. igienista dentale
8. ingegniere civile
7. analista di ricerche di mercato
6. analista di sistemi di computer
5. medico e chirurgo
4. programmatore di applciazioni
3. analista di gestione
2. ragioniere e revisore contabile
1. infermiere

fonte: 247wallst.com

Altri sono arrivati qui cercando:
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10 pensieri su “Crisi? Creati un lavoro!”

  1. Il fallimento della formazione
    Solo tre su dieci terminano i corsi
    Per chi li organizza un business da 215 milioni di euro: chi sono, cosa fanno. Cinquecento società, che li realizzano con fondi pubblici. Alcune sono semplici numeri di telefono

    Non c’è nulla di più federale della formazione professionale. Nessun governo si è mai occupato di mettere nero su bianco una legge che preveda corsi di formazione per chi è in cerca di lavoro o per chi lo ha perso e, di fatto, tutto il pacchetto della preparazione e delle competenze professionali è stato nel corso degli anni delegato al rapporto diretto tra le aziende e le Regioni. E questo purtroppo non ha semplificato le cose. La situazione dei corsi professionali nel Veneto – una delle regioni più avanzate nel settore della formazione, seconda solo a Emilia Romagna e Lombardia – è talmente confusa che non è possibile stabilire con certezza quante persone abbiano avuto accesso alla formazione e quanti abbiano davvero completato i corsi nel 2011. Secondo i dati di Confindustria e Confartigianato si tratta di circa settemila persone di cui solo un terzo ha completato le ore di lezione previste. Resta il fatto che le società che si sono tuffate nel mondo della formazione sono quasi cinquecento e molte di queste esistono solo come numeri di telefono su un lungo elenco degli enti accreditati presso la Regione Veneto. Mettendo da parte le associazioni di categoria, gli enti locali e i sindacati, dunque nella nostra regione la maggior parte dei corsi sono tenuti da piccole società che nella pratica quotidiana non hanno l’obbligo di rispondere a nessuna verifica né sulla qualità dei corsi né sull’effettivo svolgimento delle lezioni.

    Fatto grave se si considera che la maggior parte dei fondi a cui queste società di formazione accedono – i corsi a catalogo, cioè quelli pagati direttamente dai privati o dalle aziende sono una minoranza – sono puramente pubblici: europei, statali o regionali. Una massa da 215 milioni di euro – poco meno del 10% di quello che si spende in tutto il paese – che viene distribuita a imprenditori, professionisti e consulenti che dispensano pacchetti di lezioni da 10 o 20 ore. «Il problema è che finora ci siamo concentrati sui diritti dei lavoratori e non sulle competenze di chi entra nel mondo del lavoro», spiega il giuslavorista Romano Benini. A sentire l’esperto, la formazione per chi si affaccia al mondo del lavoro finisce per cozzare con il sistema tradizionale del welfare italiano che preferisce concentrare la maggior parte delle risorse per la cassaintegrazione e per la mobilità a tutela di chi il lavoro lo perde piuttosto che per chi sta per iniziare. E in effetti la tutela per chi resta senza lavoro è quasi esclusivamente di tipo economico visto che non prevede – almeno fino a quando non ci sarà una legge sulla flexecurity – alcuna formazione obbligatoria. «Va detto però che il Veneto è una delle poche aree del paese dove la crisi ha avuto meno impatto sul mondo del lavoro, segno che c’è un alto livello professionale all’interno delle aziende», conclude Benini. Ma se chi è già dentro un’azienda veneta può vantare un alto livello di professionalità, non è così per chi sta cercando di entrare. «Spesso le nuove generazioni hanno competenze poco spendibili in ambito lavorativo», sottolinea il direttore di Confindustria Veneto Gianpaolo Pedron. Per quanto la stessa Confindustria abbia creato in partnership con l’università di Padova 21 borse di studio da mille euro al mese per altrettanti dottorati di ricerca operativi – cioè più pratici che teorici, con un discreto monte ore in azienda – i punti di contatto tra la formazione scolastica e le aziende del territorio sono ancora pochi. «Dovremmo ricorrere più intensamente al contratto di apprendistato per i neodiplomati e neolaureati», aggiunge Pedron.

    Il problema però è non è di facile soluzione: i neodottori vedono l’apprendistato come una sistemazione da «garzoni di bottega» e spesso lo rifiutano mentre le aziende usano questa tipologia contrattuale per scaricare tasse o ottenere agevolazioni fiscali e non formano niente e nessuno. Non solo. La riforma dell’apprendistato che permetterebbe di stabilire nero su bianco le regole con cui si deve svolgere la formazione all’interno delle aziende per i neoassunti arriverà solo il 25 aprile prossimo – se non salta l’intesa tra governo e sindacati – con il rischio che la disciplina nazionale si scontri con le diverse politiche nazionali rallentando ulteriormente la razionalizzazione del settore. E allora ecco che ricompaiono nuovamente i corsi di formazione del Fondo Sociale Europeo organizzati dalle associazioni di industriali, dalle categorie e dai sindacati, che in questo settore sono uno dei principali colossi. «Negli ultimi anni a causa della crisi c’è stato un calo dei partecipanti ai nostri corsi – spiega Nicola Zanon, segretario di Api Industria Servizi -ma continuano a presentarsi diplomati e laureati che hanno già un lavoro e vogliono fare carriera o mettersi in proprio in qualche settore». E’ il caso di chi ha seguito corsi sulla gestione di rifiuti o sulle normative in materia di energia rinnovabile. A fine corso la loro posizione all’interno dell’azienda era già aumentata di qualche gradino.

    Ma se i risultati per chi già ha un lavoro e ne cerca uno migliore sono sbalorditivi – alcuni corsi di formazione e alcuni master universitari vedono scatti di carriera per il 100% degli studenti – chi ha appena terminato il ciclo di studi e cerca per la prima volta lavoro è tendenzialmente restio anche solo a spendere un migliaio di euro per fare un corso da 60 o 80 ore che porta al successo mediamente poco più del 30% degli iscritti. «Il 25% dei giovani laureati o diplomati che frequenta i corsi organizzati da noi trova lavoro subito dopo la fine delle lezioni – interviene Paola Mainardi, ad di Sive Formazione di Confindustria Venezia – il 47% invece lo trova dopo 12 mesi». «Il corso per operatori dei processi di rigassificazione ha visto l’assunzione del 60% dei frequentanti », aggiunge Andrea Pascucci del Consorzio industriale formazione di Unindustria Rovigo. Certo, nella patria del rigassificatore e delle centrali elettriche si tratta di una figura professionale richiesta, ma nel resto della Regione che competenze servono? «I corsi di formazione devono prevedere un approfondito studio preliminare del profilo che in quel momento interessa alle imprese dell’area altrimenti non sono efficaci», rincara la dose Mainardi.

    Se la lunghezza dei corsi universitari rischia di creare dei professionisti che andavano bene al momento dell’iscrizione ma che sono già fuori mercato al momento del diploma, questo non è il caso dei corsi di formazione che per la loro brevità rispondono immediatamente alle esigenze delle imprese. Resta il fatto che la spesa pubblica per i corsi di formazione è ancora tra le più basse in Europa (le più alte sono quelle della Spagna e della Germania) e che non fa parte della cultura dei lavoratori veneti affrontare autonomamente corsi di qualsiasi tipo mentre si sta cercando lavoro o mentre si lavora. I corsi di formazione infatti sono ancora visti con diffidenza dalle imprese (che non mandano i loro lavoratori a formarsi salvo per i corsi obbligatori sulla sicurezza) e da quelli che sono in cerca di lavoro che leggono il tornare sui banchi di scuola come una sconfitta. «Purtroppo la formazione viene ancora vista come una perdita di tempo – conclude la direttrice di Forema, l’ente di formazione di Confindustria Padova Cristina Ghiringhello – eppure deve essere chiaro che il mercato sta cambiando e che richiede formazione continua dei lavoratori. Rendiamoci conto che nelle multinazionali ormai senza una laurea non si fa nemmeno uno stage…».

    http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2012/11-febbraio-2012/fallimento-formazione-solo-tre-dieci-terminano-corsi-1903238031517.shtml

  2. Articolo molto bello, a mio parere dovrebbe essere pubblicato su un giornale a diffusione nazionale.
    Nel mio piccolo, ho avviato una attività di formazione senza finanziamenti CEE e sta andando molto bene.
    Il principio che ho attivato è il seguente: prima vado sui motori di ricerca lavoro e faccio una analisi statistica dei mestieri più ricercati nel settore IT, poi faccio i corsi su quei mestieri.
    Da quando ho iniziato sono passati circa 150 studenti ed il 50% di essi ha trovato lavoro.
    Le società di formazione che vivono dei finanziamenti CEE hanno come cliente la CEE e la politica e non gli studenti con le loro necessità. Per questo non gli interessa niente ne’ della qualità dei corsi, ne’ della soddisfazione degli utenti.
    Ho anche scoperto, andando proprio a chiedere un finanziamento per la formazione, che la torta dei contributi e’ gia’ suddivisa a monte tra una miriade di societa’ collegate ai sindacati o ai partiti politici, e che l’ingresso in questa “mafietta” e’ proibito ai non addetti alla politica.
    L’Italia e’ fatta cosi’, la politica ha mangiato tutte le risorse disponibili.

    1. per gabriel, anch’io sarei intenzionata ad aprire un attività di formazione, ma riscontro difficoltà nel rilascio autorizzazioni. potrei avere delle dritte ciao

  3. Giovani, studio e lavoro.
    Domenica 4 marzo è in edicola col Corriere del Veneto e col Corriere di Verona il sesto numero di «Nuovi Veneti». I lavori dell’estate, come diventare animatore

    Il sesto numero di Nuovi Veneti sarà in edicola, gratuitamente, domenica 4 marzo con il Corriere del Veneto e il Corriere di Verona. In primo piano – in un momento in cui molti ragazzi pensano a scegliere il proprio percorso di studi (e a pochi giorni dalla presentazione dei dati di Alma Laurea, il consorzio che riunisce i maggiori atenei italiani, sull’impiego dei laureati ad un anno dalla laurea) – una riflessione sul rapporto formazione/lavoro: a tal proposito, le prime pagine sono dedicate a più indagini che delineano la situazione giovanile del Veneto da più prospettive: in un primo tempo, testimonianze e numeri alla mano, si analizzano le facoltà che oggi offrono più opportunità occupazionali ( Scienze della Formazione e Medicina le più utili, ma spesso, ad essere decisivi, sono gli stage), per poi passare la parola alle imprese (Servono figure specializzate, dal calzaturiero alle bioenergie: in tal senso gli istituti tecnici superiori rivestono un ruolo strategico). Non mancano, naturalmente, le storie.

    E a parlare sono loro, i giovani: a raccontarsi è chi parte, chi arricchisce la propria competenza all’estero, magari con un corso Erasmus (la Spagna è la meta più gettonata) o con un lavoro, confrontandosi, così, anche con colleghi di altri Paesi. A raccomandare particolare attenzione all’orientamento («Per non creare degli infelici») e alla capacità di “cavarsela da soli” è anche Confartigianato Vicenza che, al tema, ha dedicato un corso e una guida. Riflessioni e aspettative si confrontano nella pagina di «Idee» dove intervengono uno studente (Mattia Giusella, ex rappresentante del Senato accademico) ed un professore (Paolo Santonastaso, ordinario di Psichiatria a Medicina). Aria di primavera nella sezione «Reti» con il «fiorire» di iniziative della tante associazioni venete che contribuiscono anche a far scoprire le bellezze del territorio, in testa quelle legate al Fai. Racconti di una «realtà» alternativa vengono offerti da «Territori»: l’inchiesta, raccolta proprio “in trasferta”, spiega l’attività (ma anche le emozioni, la routine, la precarietà) di Francesco Pulejo, project manager per Oxfam Italia in Libano. Un’occasione per “mappare” i veneti e le 120 associazioni di cooperazione che si spendono, all’estero, per aiutare chi sta peggio di noi. “Frontiere” tratteggia il profilo di Federico Colombo, direttore di Radiochirurgia all’Usl 6 di Vicenza: figlio d’arte (suo padre è Giuseppe Colombo, luminare dell’Astrofisica), il suo nome è legato al Cyberknife, il robot futuristico che opera i tumori.

    A tal proposito, a Vicenza, dove arrivò il primo macchinario in Europa nel 2003, fra pochi giorni si inaugura il secondo, ancor più sofisticato, alla presenza del governatore Luca Zaia. «Opportunità e regole» si abbraccia idealmente al primo piano: inizia in questo numero una sezione che si occupa dei tanti “lavori estivi” che i ragazzi possono svolgere all’estero. Si parte con la figura dell’animatore: il Veneto, infatti, è uno dei maggiori operatori del settore e i diretti interessati assicurano: «Le possibilità di carriera sono infinite«. Ma curiosità e richieste di informazioni sul tema, come sempre, vengono soddisfatte dalla rubrica «Domande e risposte» a cura dell’Ordine dei commercialisti ed esperti contabili di Padova.

    fonte: http://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2012/2-marzo-2012/giovani-studio-lavoro-2003523655898.shtml

    Cosa cercano le imprese? Confindustria punta sulla formazione post-secondaria. Servono figure professionali specializzate, dal calzaturiero alle bioenergie.

    Versatilità. Sapersi adattare a esigenze mutevoli del mercato: perché il panorama di oggi non sarà quello di domani, e nessuno può rimanere con le mani in tasca. «Certo – afferma Giulio Pedrollo, 39enne vicepresidente di Confindustria Veneto nonché presidente dei “Giovani” dell’associazione – i nuovi entrati nel mondo dell’impresa devono dimostrare capacità di risolvere problemi e spirito di adattamento. Appunto perché l’orizzonte culturale e pratico delle aziende tende a modificarsi al passo serrato». E non basta.

    «Perché la sostanza c’è – continua Pedrollo -: i giovani laureati hanno una buona preparazione tecnica. Tuttavia, talvolta non sono in grado di far propri il sistema delle strategie aziendali e quello delle relazioni interne all’impresa. L’impressione è che, in certe condizioni, non sappiano cosa fare o a chi riferirsi per risolvere un problema. E’ che non hanno capito quale direzione abbia preso l’azienda». E come se ne esce? «Da una parte – commenta Pedrollo – l’azienda deve affermarsi come “faro”, trasmettendo subito e con piena trasparenza dati relativi a sistemi, metodi e mission; dall’altra i giovani devono saper ascoltare e integrarsi nel contesto». Secondo Pedrollo, «i ragazzi demotivati sono la minoranza; la maggior parte, una volta compreso il significato della sfida dell’azienda, mostra di avere carattere. Si assiste, anzi, a trasformazioni incredibili».

    Per il vicepresidente, nel futuro prossimo la “domanda” riguarderà per lo più «laureati con competenze in ingegneria, fisica, finanza, logistica, marketing», ma anche «sales manager poliglotti» e «tecnici, come i programmatori di robot e controllori di qualità». A proposito di tecnici, sempre più di rilevo il ruolo degli Its, istituti tecnici superiori. «Si tratta – spiega il direttore di Fòrema (ente di formazione di Confindustria Padova) Cristina Ghiringhello – di un canale educativo post-secondario, parallelo a percorsi accademici. Costituiti con “Fondazioni di partecipazione” (comprendenti scuole, imprese, università, centri di ricerca, enti locali e di formazione), gli Its si occupano di tecnologie strategiche per sviluppo economico e competitività».

    Una risposta a esigenze del territorio. «Nel Padovano, per esempio – continua la Ghiringhello – c’era un gap da colmare: figure professionali nel calzaturiero e nel settore delle bioenergie. Di qui “Cosmo”, per progettazione, comunicazione e marketing del prodotto-moda e “Red”, per il risparmio energetico e l’edilizia sostenibile. Fòrema fa parte di entrambe le fondazioni». Un passo in avanti rispetto a “vecchi” istituti. «Percorsi di taglio pratico – afferma la Ghiringhello.

    E poi, negli Its si entra a 19 anni, già maturi, per un iter di specializzazione biennale con approccio imprenditoriale e consulenza diretta di aziende». Con vantaggi immediati. «Alla fine – termina la Ghiringhello – i ragazzi non hanno bisogno di suonare campanelli». D’altra parte, «certe mansioni vanno recuperate»: lo pensa il presidente di Confidustria Veneto Andrea Tomat. «Per troppi anni – chiosa Tomat – sono state vendute scorciatoie, percorsi facili. Va invece recuperata l’etica del lavoro: fatica e impegno. I giovani, cioè, si rimbocchino le maniche e osservino il mondo con realismo».

    fonte: Nuovi Veneti, del 4 marzo 2012

  4. Non so se ve ne siate accorti ma siamo in piena rivoluzione industriale, una parte della old economy nei paesi occidentali sta lentamente morendo ed assottigliandosi, mentre al contempo una new economy si sta ormai consolidando da tempo. Nell’immaginario popolare il termine new economy ha ancora un accezione negativa in quanto correlato allo sboom e flop delle quotazioni dei titoli azionari che agli inizi del nuovo millennio prima infiammarono i listini e subito dopo li purgarono. Siamo in piena rivoluzione in quanto stanno scomparendo lavori, professioni ed occupazioni che ormai sono obsoleti o medioevali in contrapposizione alla velocità con cui si sta muovendo tutta l’economia planetaria. Pensate ancora che abbia senso studiare per fare il geometra, il ragioniere o il perito industriale ? Pensate che una laurea in giurisprudenza vi apra le porte per il mercato del lavoro (a meno che vostro padre non abbia già uno studio notarile avviato) ? Pensate che in un paese come il nostro che esporta all’estero eccellenze ed intelligenze fuori dell’ordinario ed importa manodopera extracomunitaria generica priva di specializzazione, la risposta sia ancora pensare ad opportunità occupazionali tipiche della metà degli anni novanta?

    Il processo di trasformazione ed evoluzione che sta vivendo anche l’Italia a seguito della concorrenza di Cindonesia ci deve portare a rivedere completamente quelli che sono i driver occupazionali attesi per il futuro ormai imminente, chi non mette a fuoco queste priorità è destinato ad essere messo in quarantena occupazionale. Stanno scomparendo milioni di posti di lavoro “tradizionali e canonici” legati ad una economia ormai morente soprattutto di natura manifatturiera, che per quanto riusciremo a proteggere non sopravviveranno a lungo (tranne le cosiddette nicchie di eccellenza), tuttavia al tempo stesso stanno nascendo milioni di nuovi posti di lavoro su settori e ambiti “non convenzionali” in cui ancora oggi non si conoscono appieno le rispettive opportunità. Fermatevi solo a pensare: Skype, Google, Linkedin, Zynga, Booking, Twitter, YouTube, Facebook, Ebay, Paypal & Company rappresentano tutte aziende che con il loro indotto stanno cambiando il nostro modo di comunicare, vendere, giocare, promuovere, conoscere, pagare, scrivere, leggere ed informare.

    Aggiungiamoci oltre al software anche l’hardware con i tablet, gli smart phone e i netbook: siamo nel mezzo di una nuova rivoluzione industriale, una rivoluzione della mente. Proprio come ci ha ricordato Steve Jobs questo sta producendo e generando centinaia di nuove professioni, mestieri e lavori che dieci anni fa nemmeno esistevano e che oggi si possono intraprendere solo attraverso il “learning by doing” al posto dell’ormai superato “doing by knowing”. Sostanzialmente queste nuove opportunità professionali non le imparerete a scuola o all’università in quanto la classe docente attuale è mentalmente obsoleta per poter insegnare ciò di cui ha sentito solo parlare, ma li imparerete perchè ci metterete il muso dentro da soli. Io stesso ho imparato un mestiere 15 anni fa, quello del trader professionista, perchè il software e l’hardware (accesso alla banda larga) me lo hanno permesso, non di certo perchè l’università mi ha trasmesso le conoscenze o le opportunità a livello operativo.
    da http://www.eugeniobenetazzo.com/nuova-rivoluzione-industriale.htm

    …poi però ci sarebbe da ricordare che – purtroppo – qui in Italia, anche avendo una discreta intelligenza e una discreta abilità con apparecchi elettronici di nuova generazione, non si va da nessuna parte e si fa la fame.
    Gli unici settori che, in Italia, sembrano ancora capaci di dar lavoro sono quelli della medicina e dell’ingegneria (ovviamente per chi può permetterseli).
    Siamo un sotto prodotto della generazione precedente da cui ereditiamo limiti prestazionali e barriere. Prima di tutto lavoriamo per rivoluzionare la nostra mente per farla evolvere e solo in questo modo riusciremo a capire che questa crisi di cui si parla, può celare delle grandi opportunità. Il comparto educativo ha delle grandi responsabilità, ma purtroppo la maggior parte non se ne rende conto perchè vittime dei loro limiti mentali ie del benessere e della certezza dello stipendio, che non stimola l’evoluzione mentale. Un caro saluto a tutti!

  5. Le professioni più pagate in Italia

    Esistono professioni che anche in tempi di crisi resistono e che, anzi, probabilmente fanno guadagnare meglio e di più. Ma quali sono i mestieri e le professioni più pagate in Italia? La lista pubblicata da Forex – finanza.com mette in cima i farmacisti, seguiti da notai, chirurghi plastici e odontoiatri.

    I farmacisti, specie in Italia e grazie al progressivo invecchiamento della popolazione, riescono a guadagnare cifre comprese tra i 200 mila e il milione di euro all’anno, naturalmente anche in base ai centri in cui le farmacie sono situate. Anche in paesi con 1000 abitanti, una farmacia non scende sotto i 200 mila euro annui, mentre nelle grandi città si parla di guadagni vicini al milione di euro.

    Altra categoria ben pagata, sempre secondo la lista di Forex-Finanza.com, i notai, i cui guadagni si avvicinano a quelli dei farmacisti. Il dato è, però, relativo allo scorso anno e non sappiamo come andranno le cose nell’era post liberalizzazioni.

    Altri professionisti ben pagati, i chirurghi plastici, che in questi ultimi anni registrano un vero e proprio boom di richieste da parte di coloro che intendono migliorare il proprio aspetto fisico. Anche per questi professionisti non si scende quasi mai al di sotto dei 200 mila euro annui. Guadagnano bene anche gli odontoiatri: un piccolo studio, ben frequentato, consente un guadagno medio annuo di 160 mila euro.

    Tra i più pagati in Italia non bisogna dimenticare i manager e gli amministratori delegati che guadagnano cifre comprese tra i 700 mila e gli otto milioni di euro all’anno.

    Con questi numeri, i manager nazionali si collocano al primo posto tra i professionisti più pagati, anche se non vengono citati dal sito che abbiamo segnalato, ma dal Sole 24 Ore. I suddetti guadagni, però, stanno montando un’accesa polemica che guarda con sdegno e scandalo agli stipendi milionari dei manager, specie in un momento economico in cui gran parte degli italiani vivono o rischiano di vivere in condizioni di povertà.

    fonte http://www.worky.biz/19039/le-professioni-piu-pagate-in-italia.html

  6. Ecco le professioni del futuro, dal transmedia web editor al designer virtuale. Ma tra i mestieri tradizionali domina la sanità

    I risultati che emergono dallo studion di Unioncamere per il 2013 rilevano 750 mila contratti di lavoro a fronte di un milione di lavoratori in uscita e 250 mila lavoratori in negativo tra questi il 35% fa parte del Meridione. Le assunzioni previste dalle imprese nel 2013 sono il 13,2% in calo rispetto al 14,4% dell’anno precedente. L’ industria è quella che mantiene una maggiore propensione ad assumere nel campo del chimico-farmaceutico e petrolifero con il 34,7%. Nel terziario, invece, si distacca solo il comparto dei servizi socio-assistenziali e sanitari con una percentuale del 24,5%.

    Le professioni del futuro

    Con la navetta spaziale Space ShipTwo è già stata inaugurata l’epoca dei viaggi turistici nello spazio facendo debuttare tra le professioni del futuro la guida turistica spaziale, in vista della prossima colonia su Marte che si costituirà nel 2033. Oltre ai visitatori dello spazio, nell’imminente futuro c’è da gestire un’altra comunità cioè virtuale attraverso la cura di siti, forum o blog da parte del manager community, figura sempre più richiesta dalle aziende insieme alla figura del transmedia web editor, content creator e web analyst. Altre figure che si affermano nel mondo del web sono: il personal brander, il reputation manager, il web marketing manager o l’esperto di sicurzza su internet. Nell’ambito tecnologico, invece, le professioni più richieste sono il designer virtual set, il waste data handler o l’avatar manager. Il vertical farmer, il personal trainer dell’orto, il personal food stopper, il food blogger, l’eco-chef e l’agristilista sono le professioni più in voga nel campo del green mentre l’ambito dell’energia propone: energy manager, climate controller, riciclatore di uranio o l’eco industrial designer.

    Le prime cinque professioni tradizionali in crescita

    L’Osservatorio europeo dei posti di lavoro vacanti (Evm) segnala cinque occupazioni tradizionali tra le più richieste e in crescita di assunzioni: servizio alla persona nell’ambito della sanità, sviluppatore di applicazioni software e analista, segretario amministrativo e specializzato, supervisore di miniera, di produzione e di costruzione e insegnante elementare e per la prima infanzia. L’agenda per nuove competenze e nuove occupazioni nell’ambito di Europa 2020 punta il faro sul numero insufficiente di infermieri formati e un numero crescente di infermieri e ostetrici vicini all’età pensionabile. Oltre ai tecnici medici e farmaceutici sono professioni in espansione nell’ambito sanitario anche dentisti, farmacisti e fisioterapisti.

    Andamento delle assunzioni su base annua

    Estrazioni di minerali, legno e mobili, fabbricazione di macchine, attrezzature e mezzi di trasporto, pubblic utilities (acqua, luce e ags) sono impieghi in aumento di uscite (tranne il primo) e che determineranno opportunità occupazionali pur mantenendo una tendenza a ribasso rispetto alla domanda del mercato del lavoro. In pratica ogni 100 uscite si avranno appena 64 entrate nell’industria e 81 nei servizi; il settore costruzioni, con 50 ingressi ogni 100 uscite, è il comparto più depresso. In coda alla classifica figurano anche le industrie della lavorazione dei minerali non metalliferi con 52 entrate su 100 ; commercio e riparazioni di veicoli con 55 su 100; legno e mobile che registra 56 entrate su 100; tessile e abbigliamento con 59 su 100 mentre si arriva quasi ad un equilibrio nei servizi alle imprese private di informatica e telecomunicazione, d’istruzione e formazione, sanità e assistenza.

    Imprese che segnalano difficoltà di reperimento del personale

    Non si tratta solo della riduzione di domanda e dell’aumento di offerta cioè rispettivamente il calo del numero di persone ricercate dalle aziende per essere assunte e l’aumento delle persone che cercano un lavoro ma il fenomeno sembra anche legato ad una richiesta di competenza specifica che esige l’impresa di un determinato settore. Solo il 18,5% delle imprese nell’industria hanno difficoltà di reperimento del personale mentre la stessa difficoltà riguarda le imprese nei servizi con un 15,6%.

    fonte http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-09-06/imprese-mestieri-futuro-ecco-180142.shtml

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