Autostima o capacità?

Autostima e lavoro

In quasi tutti i colloqui di lavoro che ho affrontato mi si chiedeva di auto-valutarmi: “Com’è il tuo inglese?” oppure “Sapresti fare questo o quello?”

Io ho sempre trovato questa cosa impossibile da fare: non posso valutare me stesso, in quanto non posso esserne capace.

Lascio a qualcun altro il compito di valutarmi; solo qualcuno di più competente può dirmi dove arriva la mia capacità nello svolgere un compito o la mia conoscenza di qualche materia.

Capisco che dal punto di vista del datore di lavoro, o di chi deve assumersi l’onere di decidere se una persona vale oppure no l’assunzione, sia difficile – se non impossibile – fare una scelta.

A parte il proverbiale passa-parola, dove ci si affida – più o meno credendoci – alla valutazione di conoscenti comuni, l’unica maniera sarebbe affidarsi all’apposito periodo di prova, ma anche questo espediente può lasciar molto a desiderare, visto che tanto più il nuovo ambiente è complesso, tanto più lungo dovrebbe essere il periodo di inserimento.

Quindi ci si affida a domande di questo genere.

Ho trovato interessante un articolo su The Economist (archive) che tra le altre cose parla anche di autostima ed effettive capacità.

Si citava uno studio dal risultato interessante…
I bambini americani sono convinti di saper bene la matematica, ma in realtà sono gli ultimi in un confronto tra 8 paesi.
Al contrario, i coetanei coreani non si sentono preparati in matematica, ma in realtà primeggiano nel confronto tra gli 8 paesi di prima.

In a study of eight countries, American children came top at thinking they were good at maths, but bottom at maths. For Korean children, the inverse was true: they considered themselves poorer at maths than the children of any other country, but were the best. The OECD study, similarly, found that American children believe they are good at maths and, indeed, are adept at very simple sums; but give them something halfway tricky and they struggle.

…quindi mi è venuto da pensare: non è che gli intervistatori ai colloqui di lavoro sono più furbi di quel che io possa credere?

Forse, in realtà, chi intervista i candidati facendo certe domande non lo fa per sapere quanto uno conosca o creda di conoscere una disciplina, bensì per capire fin dove possa spingersi la sua stima di sé.

P.S.
Dunning e Kruger parlano proprio di questa cosa nella loro ormai famosa ricerca del 1999: “Unskilled and unaware of it: How difficulties in recognizing one’s own incompetence lead to inflated self-assessments.”
Tradotto: “Incapace e inconsapevole: come le difficoltà nel riconoscere la propria incompetenza portano ad un’autovalutazione esagerata.”

Secondo l’omonimo effetto Dunning-Kruger, individui poco esperti in un campo tendono a sopravvalutare le proprie abilità autovalutandosi, a torto, esperti in materia.
Per contro, le persone davvero dotate tendono a sottostimare le loro abilità.

3 pensieri su “Autostima o capacità?”

  1. *La potenza dell’autovalutazione*

    Tra i momenti più importanti all’interno di un percorso di studi, o un percorso #professionale, ma anche di vita quotidiana, c’è indubbiamente quello dell’autovalutazione.

    Quando studiamo siamo valutati dagli insegnanti, quando iniziamo un nuovo lavoro siamo inevitabilmente valutati dall’azienda che ci ha assunto (anche se c’è chi pensa che non sia così).

    Vi sento già: “beh, se mi dicono che sono brava, vuol dire che va bene”.
    Ma davvero basta questo per ritenerci “bravi” nelle nostre attività?
    Basta davvero un “bravo” da una persona esterna, per renderci “bravi” in ciò che stiamo facendo?

    Se è vero che sicuramente l’essere apprezzati da chi ci circonda, è qualcosa che ci dà la carica, è vero anche che la prima #valutazione deve provenire da noi stessi.

    Ma cosa si intende per “#autovalutazione”?
    Una delle definizioni è riferita agli studenti, ma si può trasferire tranquillamente anche in ambito professionale:

    “L’autovalutazione consente di migliorare la comunicazione, poiché gli studenti diventano #consapevoli delle aree in cui hanno difficoltà e sono maggiormente capaci di articolare i propri bisogni”.

    Da questa frase emergono alcuni obiettivi dell’autovalutazione:

    1. migliorare la #comunicazione. In questo caso non si intende l’essere più carini, coccolosi e piacevoli, ma rendersi conto delle proprie capacità e mancanze e lavorare su di esse.

    2. #consapevolezza. Direttamente collegata al punto precedente, la consapevolezza fa sì che la persona sappia effettivamente quali siano le problematiche e diventi portatrice di soluzioni: così, tanto per non essere parte del problema.

    Ma come si mette in pratica una sana autovalutazione?
    Gli studiosi mettono in campo alcuni punti che vanno dall’essere orgogliosi dei risultati raggiunti, all’essere autocritici, fino allo sguardo sempre rivolto alla propria crescita: ovviamente sempre con moderazione per evitare di non diventare maniaci del controllo o del perfezionismo.

    L’autovalutazione ci pone di fronte all’amara realtà che non siamo perfetti e sbagliamo e che soprattutto abbiamo sempre da #imparare qualcosa: sia che siamo agli inizi, sia che siamo “senior”, soprattutto se siamo senior.

    Auguriamoci si riuscire a valutare noi stessi, ancora prima che lo facciano gli altri.
    È la partenza per diventare grandi e perché no, anche diventare bravi: non abbiamo nulla da perdere, no?

    Buona serata, a tutti.

    #autovalutazione #studio #lavoro

    fonte:
    https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6990744016354983936/

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